Da una serie televisiva..
Mi sono appassionata di recente ad una serie televisiva che mi ha portato ad alcune riflessioni su emozioni così comuni e naturali ma altrettanto spesso censurate e mascherate tra gli esseri umani.
Mi sto riferendo al rancore e alla rabbia non elaborata quando i protagonisti erano fanciulli e che li porta, una volta grandi, ad agire comportamenti e scelte distruttive e vendicative, nella ricerca disperata di dare un senso e ‘ripagare’ quell’antico dolore represso, mai accolto ed espresso. Quello che viene raccontato è ciò che accade molto spesso in tante dinamiche familiari, qui nella serie assolutamente enfatizzate e romanzate per creare gli effetti della suspance e del thriller, quando veicolano messaggi distorti e non autentici, bugie e segreti che invece di proteggere, come è nell’intento degli attori in gioco, creano un universo di vita parallelo inquinato e disturbato che non può che compromettere le esistenze delle persone coinvolte, in questo caso 4 fratelli. Il tutto incorniciato da un contorno idilliaco, il luogo e gli ambienti in cui si svolge la storia, che fa da contrasto e a tratti stride fortemente, in altri momenti accompagna dolcemente la catastrofe di eventi che, come un vortice inarrestabile, tocca sempre più drammaticamente e acuisce, ora dopo ora, la gravità dei fatti portando i protagonisti a non sempre prevedibili (la trama e la regia sono ben fatte..) ma tremende e irreversibili conseguenze.
Perché i segreti non muoiono mai…
Ciò che decidiamo di dire e fare ha sempre un ritorno sui comportamenti e le emozioni dell’altro; esserne consapevoli e rendersi responsabili delle proprie scelte può evitare danni irreparabili.
Ps: per i curiosi, la serie in oggetto è Bloodline 😉
TI SVELO UN SEGRETO…E’ giusto dire la verità ai bambini?
Spesse volte mi è capitato nella mia pratica di Psicoterapeuta di sentirmi chiedere dai genitori se sia giusto dire ai bambini la verità (su quello accade nella famiglia, sulla morte, su eventi dolorosi, sulla loro origine -tanti bambini in questi ultimi anni sono frutto di fecondazioni assistite, su problemi della coppia..). Le motivazioni che mi riportano i genitori sulla scelta di non mettere a conoscenza il bambino solitamente sono due: quella di ritenere che il bambino, essendo piccolo, non sia in grado di comprendere la situazione, e quella di ritenere che il bambino possa rimanere traumatizzato e subire dei danni emotivi, in particolare nel caso di avvenimenti tragici quali i lutti. Quando i lutti o le situazioni dolorose riguardano i genitori e sono avvenuti in un tempo precedente alla nascita del figlio, spesso il pensiero più immediato è che non sia necessario coinvolgere il bambino con i propri problemi, con le proprie sofferenze, perché non lo riguardano. L’intento che muove la scelta genitoriale è pertanto quello di proteggere il bambino dalla sofferenza.
Ciò che riporto ai genitori e che non viene preso in spesso in considerazione è che il non parlare di certe eventi non significa tenerli segreti e nasconderli, perché attraverso il nostro comportamento e ciò che facciamo trasparire per mezzo della comunicazione non verbale diamo sempre informazioni su quello che proviamo, pensiamo e sulla nostra storia, anche sui contenuti non consapevoli che abbiamo rimosso. Il figlio percepirà attraverso le modalità di accudimento che riceverà un’emotività che non riuscirà a comprendere e a spiegarsi e il pericolo è che, non ricevendo spiegazioni adulte, cercherà una riposta utilizzando le sua capacità e gli strumenti in possesso relativi al momento evolutivo che vive. Spesso la risposta e la storia che il bambino costruisce attorno ad essa, è autoriferita. Ecco degli esempi: ‘Se la mamma non è contenta è perché non sono stato bravo’ – ‘La mamma piange per colpa mia, sono cattivo’ – ‘Il papà non mi guarda perché non sono importante’ – ‘I problemi che ci sono nella mia famiglia dipendendo da me, non dovevo nascere’. Certamente questi messaggi interni, che alimentano un dialogo svalutativo e punitivo, nel tempo minano nel bambino l’autostima, il senso di sicurezza, di competenza, di amabilità, di fiducia in sé e nell’altro, la sua Okness e l’evoluzione del suo benessere psicofisico. L’adulto è per il bambino l’unica fonte autorevole e sacra che viene presa a modello di vita e non viene messa in discussione: nessun bambino, soprattutto se molto piccolo, metterebbe in dubbio che il proprio genitore stia mentendo. Le emozioni spiacevoli della vita sono ineliminabili e fondamentali, non vanno nascoste, mascherate, sminuite o represse, ma al contrario sostenute, riconosciute, valorizzate, gestite tanto quanto le emozioni piacevoli. Non esistono ‘bugie buone’ o ‘bugie cattive’, ‘mentire a fin di bene’ è una scelta che comporta dei rischi e delle conseguenze di cui i genitori dovrebbero sempre tenere conto. I bambini imparano da noi grandi come si affrontano le difficoltà e le emozioni sgradevoli, perché tutto fa parte della vita e di tutto è possibile parlare. Non esistono ‘contenuti indicibili’, lo sono e diventano tali solo se l’adulto lo permette e attribuisce loro tale potere. Ai bambini non manca nulla che impedisca loro di accogliere, sono straordinariamente capaci e pieni di risorse, più di quanto spesso si immagini. Certamente trovare le parole giuste per dire certe cose a volte sembra molto difficile e impossibile. E’ fondamentale quindi che sia per primo l’adulto a sapere riconoscere e gestire la propria emotività; spesso infatti il timore degli adulti deriva dal fatto di non sentirsi sufficientemente capaci di affrontare contenuti sconvolgenti dal punto di vista emotivo. In questo incoraggio sempre i genitori che mi chiedono aiuto a darsi il tempo, a trovare dentro di sé il momento adatto e la parola buona, che può essere accolta perché è fidata, sincera, onesta, rispettosa di sé e del propio figlio. E spesso chiedo loro: ‘Come vorresti che venisse detto a te questo? In che momento? Con quali parole?’ E l’impossibilità si trasforma in possibilità, in responsabilità, in cura, in amore.
Per me terapeuta ed essere umano, dire la verità è dare la possibilità al proprio figlio di sentirsi amato e considerato come essere degno di fiducia e di valore. E’ un atto di protezione. E’ un atto d’amore.